Se le nuove tecnologie non ci fossero, ora non saremmo davanti a questo  schermo. Pur riconoscendo quanto siano preziose e utili nel semplificarci tanti momenti di vita, capita sempre più spesso che diventino un mezzo abusato e utilizzato in modo improprio, sia dai ragazzi che dagli adulti. Ne “Il corpo in una stanza”, il blog con cui vorrei contribuire a sensibilizzare le nuove e le vecchie generazioni sui rischi legati ad un uso eccessivo dei devices e della rete, porterò l’attenzione sui corpi e sulle emozioni. Potrà sembrare paradossale scindere questi due aspetti della persona, ma mai come in questo momento storico soma e psiche sono apparsi così dissociati: i ragazzi agiscono sull’onda del tutto e subito, prede dell’istinto, mentre gli adulti hanno sempre meno momenti per ascoltare se stessi e per una condivisione non mediata da uno schermo. I fatti di cronaca, poi, sempre più di frequente, ci raccontano di episodi legati alle nuove tecnologie che coinvolgono i giovani e, di riflesso, i grandi. I tristi fatti narrati sono quasi tutti agiti senza prendere in considerazione l’altro e il suo sentire. Cosa dovremmo fare, allora, per invertire la rotta? È questo l’altro focus su cui vorrei porre l’accento, in questo spazio. Dovremmo, in primis, riportare l’attenzione sull’essere famiglia e sull’essere genitori, affinché insegnino ai figli il valore del tempo e il rispetto per i sentimenti di chi sta loro accanto. Gli adulti dovrebbero sedersi vicino ai ragazzi e informarsi su cosa fanno quando sono online, senza giudicarli in anticipo, ma avvicinarsi a loro con curiosità. La stessa attenzione dovrebbero metterla nel conoscere quali sono le loro abitudini quando non sono in casa, come si comportano quando sono insieme agli amici o a scuola. Sarebbe, inoltre, buona abitudine stabilire un momento detox dalle nuove tecnologie per tutta la famiglia. Dobbiamo parlarne, insomma, affinché si conosca in modo sempre più consapevole il rovescio della medaglia delle preziose nuove tecnologie.

Dal BLOG “Il Corpo in una Stanza” del Prof. Giuseppe Lavenia su “L’Espresso” 

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