gioco d'azzardo patologico

Il Gioco d’Azzardo Patologico (GAP) è un disturbo da tempo conosciuto, catalogato nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) e perciò considerato una vera e propria patologia psichiatrica.

Il Manuela Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali, il DSM 5, definisce il Gioco d’Azzardo Patologico come il persistente e ricorrente comportamento problematico di gioco d’azzardo che comporta difficoltà o disagio clinicamente significativi, come riferito da un soggetto che, nell’arco di un periodo di 12 mesi, presenta quattro o più tra i seguenti sintomi:

  • Ha bisogno di giocare d’azzardo con quantità crescenti di denaro per raggiungere l’eccitazione desiderata.
  • E’ irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo.
  • Ha ripetutamente tentato senza successo di controllare, ridurre, o interrompere il gioco d’azzardo.
  • E’ eccessivamente assorbito dal gioco d’azzardo
  • Spesso gioca d’azzardo quando si sente a disagio
  • Dopo aver perso al gioco, spesso torna un altro giorno per rifarsi.
  • Mente per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo.
  • Ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro, oppure opportunità scolastiche o di carriera a causa del gioco d’azzardo.
  • Fa affidamento su altri per reperire il denaro per alleviare una situazione finanziaria disperata causata dal gioco d’azzardo (APA, 2013) .

La diffusione di internet agevola e modifica il fenomeno del gioco d’azzardo patologico.

“Mentre il giocatore tradizionale era facilmente individuabile, ghettizzato nei luoghi deputati al gioco, ora chiunque può essere un giocatore compulsivo senza che nessuno lo sappia, basta possedere un computer, il collegamento a internet e una carta di credito. Viene a mancare perciò, oltre alla funzione socializzante del gioco, l’effetto inibitorio del giudizio degli altri” (Lavenia, 2013).

Nonostante la persona sia consapevole di danneggiare sé stesso e la propria famiglia, non riesce a fermarsi, spinto dalla speranza che “questa è la volta buona”. L’individuo arriva rapidamente a compromettere gravemente la propria vita economica, sociale, lavorativa e familiare (Lavenia, 2018).

Come interveniamo

Il GAP viene trattato dai professionisti dell’Associazione Di.Te. attraverso l’utilizzo del Protocollo Multidimensionale di Trattamento delle dipendenze da internet messo a punto da Giuseppe Lavenia.

Il Protocollo Multidimensionale prevede una prima fase di analisi del sintomo e di valutazione dell’attaccamento e della gravità di abuso del gioco in rete (tramite l’Internet Trap Interview e l’Internet Trap Test II; Lavenia & Stimilli).

Viene successivamente attivato un percorso terapeutico che coinvolge non solo l’individuo ma l’intero nucleo familiare e che è orientato al riconoscimento degli elementi che hanno determinato la comparsa della problematica e la sua permanenza nel tempo.

Durante il percorso terapeutico vengono indagate le motivazioni che spingono il paziente a giocare somme sempre più consistenti di denaro nel gioco online, nonché le compromissioni di questa problematica nella vita sociale e lavorativa del soggetto.

Il Protocollo Multidimensionale non prevede l’eliminazione del gioco online ma un cambiamento nelle modalità di questa azione che viene regolamentato dal terapeuta e concordato col paziente e con tutti i componenti della famiglia. Il paziente e il terapeuta concordano, quindi, una somma di denaro da destinare ogni giorno nel gioco. Questa tecnica, nota come “prescrizione del sintomo”, mira a ridurre la piacevolezza e l’eccitazione associata al gioco da parte del paziente.

LA TESTIMONIANZA DI UN PAZIENTE CHE CE L’HA FATTA..

Tratto dal Resto del Carlino: “Ho perso 850 mila euro. Mi ha salvato lo psicologo.” (6.09.2016)

Luca (nome di fantasia per tutelare la sua privacy) ha 37 anni e solo dopo aver perso tutto ha deciso di rivolgersi allo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia.

Come è diventato dipendente?

“Giocando sempre di più fino a che la mia vita ha cominciato a ruotare intorno al gioco. Alla mattina mi alzavo alle 7 per puntare online su un sito estero: svegliandomi così presto pensavo di avere più possibilità di vittoria. Poi uscivo a cercare soldi, non mangiavo quasi. Nel pomeriggio avevo il mio giro tra le varie slot e bar: avevo orari e luoghi prefissati perché pensavo fossero quelli più fortunati. Alle 22 incontravo un amico con cui andavo a giocare fino alle 4 di notte.”

Non lavorava?

“All’inizio si, nell’azienda della mia famiglia. Poi mi hanno buttato fuori, perché ho sperperato tutti i soldi che mio padre mi aveva messo da parte, circa 500mila euro e ho cominciato a chiedere finanziamenti, per oltre 300 mila euro. Quando non avevo soldi chiedevo prestiti agli amici, che non riuscivo a saldare. Quindi per me era diventato impossibile anche uscire di casa e farmi vedere in paese.

È sposato?

“Lo ero, ma mia moglie mi ha lasciato dopo sei mesi, quando si è resa conto che non avevo smesso di giocare”.

Cos’è che le ha fatto capire che aveva una dipendenza, che era malato?

“Ho provato diverse volte a farmi curare: Sert, centri di recupero. Ma ogni volta smettevo per un brevissimo periodo poi ricominciavo. Io senza il gioco non so stare.”

E chi l’ha spinta a rivolgersi al Centro Salus?

“Mia moglie mi aveva buttato fuori casa, i miei genitori non erano disposti ad ospitarmi. Mia sorella, che è medico, mi ha consigliato di parlare con lo Psicoterapeuta Lavenia.

Ha cominciato un percorso di recupero?

“Si, prima in ambulatorio, con tre sedute alla settimana. Poi nella struttura residenziale per tre mesi. Lui mi ha detto che era necessario riuscire a capire che cosa mi spingesse a tentare la sorte. A differenza delle altre strutture non mi ha proibito di giocare, ma abbiamo pattuito delle somme.

Cioè?

“All’inizio potevo giocare 500 euro a settimana, con una cifra limitata il piacere del gioco si è attenuato. Poi ha intuito che alla base della mia dipendenza c’era una depressione che ora sto curando.”

Adesso ha smesso di giocare?

“Dopo i tre mesi nella struttura residenziale i miei genitori mi hanno ripreso in azienda. Ora sono consapevole del mio problema, gioco al massimo 16 euro al giorno. Ma soprattutto non penso più in continuazione alle scommesse: ora voglio rifarmi una vita, una famiglia.”