È successo di nuovo, questa volta a Milano, parliamo di selfie estremi. È sabato sera di metà settembre, quando un gruppo di adolescenti sale sulla cima del centro commerciale Sarca per “far vedere che avevamo conquistato la cima del cinema Skyline“,così hanno detto ai media. Ma la faccenda ha avuto un esisto drammatico. Scoperti dalla sorveglianza i ragazzi scappano e uno di loro precipita per 25 metri in una condotta di areazione. E muore.
Viene definita ragazzata, a volte gioco, sfida. Ma così non è, sono selfie estremi. Secondo i dati dell’Università Carnegie Mellon della Pennsylvania, i morti per un selfie sono 170 all’anno e il numero è destinato ad aumentare. Lo stiamo vedendo.
«Non si tratta solo di narcisismo. Dobbiamo vedere questi fenomeni sotto una luce più ampia e considerare che il sistema limbico dei ragazzi, sede tra l’altro dell’emotività e dei comportamenti, si forma completamente intorno ai 20 anni. Anche per questo non hanno l’esatta contezza del pericolo che stanno correndo», spiega Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te., che si occupa di Dipendenze Tecnologiche, GAP, e Cyberbullismo.
E allora di che si tratta? «L’identità dei ragazzi è fragile. Non riescono più a raccontare attraverso le parole ciò che provano. Lo fanno attraverso le immagini. Hanno bisogno di essere riconosciuti e tentano di mostrare attraverso i canali social una parte di loro che può identificarsi con il sogno di un altro ragazzo della loro età. Perché così, magari, vengono imitati e si sentono importanti. Dovremmo aiutarli non incutendogli timore, ma interessandoci a loro, a quello che fanno e chiedendo cosa provano. Nessun ragazzo dirà dell’intenzione di fare un selfie estremo o un video che mostra una bravata, ma i grandi lo sanno che potrebbero farlo. Ecco perché dobbiamo tornare quanto prima a conoscere davvero le loro emozioni e a trasmettere il senso del limite. E questo si fa ricominciando dalla parola, dal confronto, e con l’interesse da parte degli adulti. Tutti gli adulti», sostiene Giuseppe Lavenia.
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