In Corea del Sud, un gruppo di persone indebitate fino al collo partecipa ad un gioco con montepremi milionario, ma chi perde non torna semplicemente a casa a mani vuote bensì viene ucciso. È la trama, se fosse rimasto qualcuno a non conoscerla, della serie Netflix più vista di sempre Squid Game. Quella che è a tutti gli effetti una feroce critica alla società capitalistica è stata a sua volta duramente attaccata per la violenza esplicita che caratterizza ogni puntata.
E, ovviamente, ai rischi che la visione di tale prodotto comporta per la fascia di pubblico più giovane, dividendo l’opinione pubblica e gli esperti. Sanità Informazione ha chiesto un parere in merito allo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione Di.Te. (Dipendenze Tecnologiche e Cyberbullismo), che ha esordito chiarendo «Cinquant’anni fa usciva Arancia Meccanica, siamo cresciuti con ben altro che Squid Game. Non mi sembra il caso di farne il dramma che se ne sta facendo. O meglio il dramma c’è, ma la serie non ha altra colpa se non portarlo alla luce: una incapacità genitoriale generalizzata».
Un problema di capacità genitoriale
«Piuttosto che fare petizioni e proteste per chiedere la cancellazione di una serie che, al di là di qualsiasi giudizio di merito, non è più violenta di tante altre e si rivolge comunque esplicitamente ad un pubblico di over 14 – osserva lo psicoterapeuta – riflettiamo sulle nostre capacità genitoriali: riusciamo ancora a dire dei “no” ai nostri figli? Abbiamo realmente il controllo sui contenuti cui accedono? Siamo in grado di comunicare efficacemente con loro, di intercettare un loro turbamento o semplicemente, un loro bisogno anche inespresso di spiegazioni, rassicurazione, conforto, su ciò che stanno sperimentando? Queste sono le domande che dobbiamo farci, invece di demonizzare l’ennesimo prodotto “estremo”».
Fenomeni di emulazione? Solo una scusa
Sui giornali da settimane rimbalzano notizie che riportano tentativi di emulazione dei meccanismi di Squid Game da parte di adolescenti, che si traducono in atti di bullismo verso coetanei. Ecco il parere di Lavenia: «L’emulazione, la serie come “cattivo esempio” è solo una scusa per giustificare, per attribuire una causa “altra” a dei comportamenti che sarebbero stati messi in atto comunque. Normalmente, l’assistere a fenomeni di violenza, reali o virtuali, porta a distaccarsi da quei comportamenti, a riconoscerli come “cattivi”, non a farli propri. L’adolescente non diventa violento perché vede violenza in tv – precisa – ma perché non è stato educato a percepire la violenza e la prevaricazione come comportamenti non desiderabili. E anche qui ritorniamo al ruolo genitoriale».
L’accesso ai contenuti violenti da parte dei piccolissimi
Se le piattaforme televisive, attraverso l’attivazione del parental control, possono essere più facilmente gestite e inibite ai più giovani, lo stesso non può dirsi di tutta una serie di contenuti extra, reperibili attraverso altri canali, anche da bambini molto piccoli che possono rimanerne giustamente turbati: dai video in riproduzione casuale su Youtube agli spot pubblicitari, come evitare che persino bambini in età prescolare intercettino certi contenuti?
«Il discorso è lo stesso – afferma Lavenia – riappropriandoci di una genitorialità corretta. Un bambino di 4 anni non può avere un accesso incontrollato e non guidato ad uno smartphone. È come per la patente di guida, se non si può avere prima dei 18 anni un motivo c’è, ed è perché prima dei 18 anni non sono complete le funzioni cerebrali necessarie per condurre un mezzo. Allo stesso modo a 4 anni non si hanno le facoltà per elaborare correttamente i contenuti provenienti da queste piattaforme. I risultati possono essere alterazioni del sonno e del tono dell’umore, ma quel che è più grave – conclude lo psicoterapeuta – è che sul lungo periodo questa incapacità di mantenere un controllo sui contenuti fruibili dai nostri figli può portare a fenomeni davvero pericolosi, come le famose challenge sui social che, in alcuni casi estremi, sono sfociate in tragedia».
di Chiara Stella Scarano
Fonte: www.sanitainformazione.it