Giuseppe Lavenia: «È risaputo che ogni nostro comportamento digitale lascia un segno in rete. La società di oggi sta perdendo valore nella propria identità».
Sono passati alcuni giorni dalla notizia che ha coinvolto Facebook, il “padre” dei social network più famosi al mondo. Una lunga serie di nomi “illustri” si sono detti pronti ad abbandonare Facebook dopo le rivelazioni che hanno dato vita allo scandalo Cambridge Analytica e all’uso improprio dei dati sensibili di 50 milioni di utenti statunitensi. Ma veramente qualcuno ha pensato che il progetto di Mark Zuckerberg sarebbe rimasto fine a sé stesso? Perché la gente continua a scandalizzarsi di fronte ad episodi di questo genere? «È risaputo che ogni nostro comportamento digitale lascia un segno in rete. Il problema sta nel fatto che le persone non hanno più la consapevolezza che ciò che viene postato sui social, in questo caso Facebook, diventa parte della nostra identità, che chiunque può sfruttare a suo piacimento», sostiene Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, Presidente dell’Associazione Di.Te. «Su Facebook tutto è apparentemente gratis: foto, commenti, stati d’animo. Senza rendersi conto che il valore che noi andiamo a pagare è la nostra identità, i nostri dati. Condividere sui social e con i propri contatti le nostre storie, le nostre emozioni e la nostra quotidianità, vuol dire costruire una parte della nostra identità in rete. A dimostrazione del fatto che la società di oggi sta perdendo valore nella propria identità, una società che non ha problemi a mettersi a nudo attraverso un social ma che, molto probabilmente, non riesce a comprenderne il vero significato. Provate a pensare di creare un manifesto con una vostra foto ed una serie di informazioni che vi riguardano. Cosa rispondereste se vi venisse chiesto di affiggerlo per le vie della citta? Sicuramente nessuno accetterebbe…».
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